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#Venezia#graziepoliziadistatoecarabinieri#sempreinguardia



Il piano B




Dopo un volo di sole quattro ore, eccomi di nuovo in Italia, a Milano.
Entro al Gallo d’oro, un alberghetto di poche pretese in mezzo alla Brianza. Il portiere alza la testa, un cenno di saluto e un numero “28”. Neanche mi chiede i documenti.
La camera con mobilia spaiata ha il pregio di essere molto ampia. Giorgio mi apre prima che bussi. Butto là un buongiorno e mi siedo di peso al tavolo rotondo dove un mazzo di fiori di plastica mi dà un malinconico benvenuto. Suppongo che avrà visto chissà quanti spuntini di coppie clandestine. Lo sposto con un moto di fastidio. Il ripiano è sommerso da planimetrie, cd, blocchi di appunti. Giorgio si accomoda e riprende un lavoro interrotto. Sta esaminando il contenuto di alcuni dischetti.
“Quindi?”
“Quindi, cosa?”, chiede Dania comodamente allungata sul matrimoniale, scarpe comprese.
“Mi pare chiaro che voi due abbiate già discusso della questione prima del mio arrivo in questa specie di bordello casalingo.”
“È un albergo a ore e ti assicuro che sono molto discreti”, interviene Giorgio. Non ne dubito, lui è un esperto di certi ambientini che gli permettono di cornificare sua moglie. Da quel punto di vista mi ha fatto sempre una grande rabbia ma, visto che non è il mio uomo, mi astengo da ogni commento.
“Che roba, ragazzi! Loro hanno pensato che noi facciamo a trois”
Anche Dania ci mette del suo.
“Allora?”, li incalzo.
“Niente, l’ho riconosciuta subito”, mi risponde lui con aria sorniona, “ha lo stesso sguardo di Selma.”
Questi due mi stanno prendendo in giro.
“Ma che cazzo state blaterando, ho preso un volo, non ho mangiato né dormito da due giorni tra una cosa e l’altra! Si può sapere che vi prende?”
“Ti ho fatto portare cose da mangiare”, mi fa notare Dania.
Solo ora vedo una sorta di cestino alla Biancaneve-che-va-dalla-nonna.
“Non ho fame. Voi due mi sembrate fuori di testa!”
Sono irritabile e irritato.
Molto.
“Tranquillo Keeney, quello un po’ suscettibile sembri tu. Noi siamo sull’euforico, l’operazione è fattibile anche se presenta delle incognite”, m’informa Giorgio.
“Sto aspettando di essere messo al corrente”, ribatto sempre più contrariato.
“Facciamo così, tu fai la relazione e io e Dania ti interrompiamo sui punti critici e su quelli oscuri, così abbiamo nello stesso tempo un quadro sintetico e uno più dettagliato”, propone e finalmente entra nei panni del detective professionista e abile.
“Bene, ma niente spiritosaggini, non sono dell’umore”, uso quel tono di comando da sala e ottengo l’effetto voluto. Mi accingo a fare la mia esposizione come scrivessi un atto operatorio, quello lo so fare bene.
“Alla luce del nostro ultimo incontro a tre in teleconferenza e tenuto conto degli aggiornamenti sulle sue mosse da parte di Dania, riassumo.”
“Tu parli come libro stampato”, m’interrompe lei. Entrambi la guardiamo perplessi.
“No, voglio dire che è ok. Solo non usare parole troppo difficili, per favore!”
“Se non capisci puoi sempre chiedere”, le rispondo contrariato. Sì, ce l’ho con lei per quelle foto, perché è diventata amica di Nike e di certo ha raccolto qualche confidenza. Mi riprendo: mai mischiare lavoro e faccende di cuore.
“Il nostro obiettivo è inattaccabile riguardo ai suoi traffici di organi. Per ora. Bisogna prima incastrarla con qualche grave indizio o reato a livello internazionale. Abbiamo convenuto di farla passare come potenziale affiancatrice di gruppi terroristici. Come? Facendo sì che venga trovata in possesso di materiale di propaganda più un falso piano per un atto terroristico. Al come aggiungo il cosa. Dania?”
“Sì, mi sono fatta arrivare del materiale dai miei amici. Materiale vecchio scritto in arabo, riguarda piani per terrorismo in metropolitana, io ci ho messo mani e li ho un poco truccati, messo altri nomi e cambiato date”, spiega tranquilla.
“Li ho visionati e, a un’occhiata superficiale, sembrano autentici, Fermerei subito qualsiasi persona in possesso di quella roba. Solo ad un esame più attento ci si accorge che sono dei falsi. Ovviamente, se tutto va in porto, provvedo ad avvisare i colleghi del falso allarme”, interviene Giorgio.
“Ma allora verrebbe rilasciata in poche ore!”, protesto.
“Diciamo che sarò un po’ lento nell’avvisarli. D’altronde loro, da soli, ci metterebbero giorni”, esclama compiaciuto.
“Mi pare pochino”, obietto.
“Keeney, tieni conto anche delle registrazioni. Io ho messe in un cd, fatto un collage, dentro si sente gente che parla arabo e inglese con me. E c’è spesso la parolina magica. Pots, pentole inglese, ma sono vasi per il codice. Pentole è meglio perché fa pensare a bombe. Però per quella roba secondo me pentole andava meglio”, commenta Dania.
“Intendi le ragazze candidate all’espianto? Certo che ne hai di humor nero!”
“Scusa perché la macellaia ti sembra madre Teresa? Comunque quello verrà dopo con un po’ di fortuna”, puntualizza Giorgio.
“Va bene, vado avanti. Allora. Punto secondo: il Paese ideale è il Regno Unito. Lì abbiamo un testimone, lord Bloome, che non ha più avuto notizie della nipote e si è recato in Italia presso l’agenzia della Martini, fingendosi cliente per un po’ di tempo, finché non si è accorto che stava destando troppi sospetti. Però ha visto bene la titolare e saprebbe riconoscerla, dico bene?”
“Esatto, di quello ti occupi tu Lukas, visto che sei già entrato in contatto con lui. Lo allerti perché ci tornerà molto utile nella seconda fase, quella dell’accusa vera, non costruita, di traffico di organi internazionale da viventi mediante costrizione e tutto il resto”, precisa ancora Giorgio.
Interviene Dania: “E per quella roba oltre al lord e alle registrazioni telefonate, ho fatto copia di quelle liste criptate di clienti e ragazze, come mi avevi detto Keeney. Sono riuscita ad hackerare sistema, mia specialità, ma io ho tentato molto. Difficile. Non dico per vantarmi.”
“Sei stata bravissima Dania, meglio di tua madre”, la gratifica Giorgio con la sua sensibilità da elefante.
“Senti, ma lord Bloome come farà a…”
“Stampa, vecchio mio. Il buon vecchio metodo. Foto e articoli in prima pagina. Scotland Yard non resisterà alla tentazione di fare sapere al mondo che ha catturato una pericolosa terrorista. Conta poi che siamo sotto elezioni. A volte la politica ci torna utile, il governo uscente ci tiene a dare un’immagine efficiente di sé.”
“Recepito. Adesso si tratta di capire come farla passare per Londra visto che tu, Dania, mi avevi raccontato che le hai proposto le repubbliche baltiche. Ci sono dei voli verso Tallin dall’Italia, senza passare per Londra e scusa, ma come mai quella scelta?”
“Lei si vuole allargare, ha bisogno di nuove ragazze, là è ideale, gliel’ho fatto il discorso a lei, mica voglia di spiegare di nuovo. Basta che l’ho convinta! Solo che non ci arriverà mai, ma questo ancora non lo sa”, risponde sicura.
Troppo sicura.
“Ci sono un sacco di incognite. Come avviene il passaggio del materiale? E lo scambio al momento giusto?”, sono perplesso.
“Keeney, sono riuscita a scollarla da Milano, già fatto biglietti, non ti fidi di mia abilità? Il materiale lo porto addosso io fino a Londra dove faccio scambio e lo scarico in sua borsa.”
“E se invece dovessero fermarvi prima e trovare tutto addosso a te?”
“Perché scusa? Noi due signore eleganti. Metti in cestino cellulari e quella roba lì e in mia borsa una grande cartina di Tallin e libro. Dentro ci sono piantine e due nastri copiati dai cd. So fare il mio lavoro. Già procurata piccola borsa a mano uguale alla sua, quello è stato facile. Ti ho detto che siamo diventate amiche e amiche vanno a fare spese insieme, no?”, sbuffa lei.
“Lukas, fidati. L’ho già vista in azione simulata, è uno dei test più semplici che gli fanno, è un classico. A Londra la nostra amica verrà fermata quando esibisce il passaporto. Quello è un compito mio. Da lì guarderanno accuratamente in borsa e troveranno il materiale”, sorride compiaciuto.
“Come puoi essere sicuro che la fermino?”
“Il capo ispettore della vigilanza è…”
“… una donna. E ti sei fatto anche quella! Giorgio tu sei malato”, esclamo infastidito.
“Non ancora. La tengo un po’ sulla corda.”
“Non voglio sapere altro, speriamo che questa sia pazza di te. Ad ogni modo un ulteriore controllo non è altro che eccesso di zelo, quindi va bene. Adesso il punto più critico, per come la vedo io, è che Dania riesca ad allontanarsi subito dopo.”

@Dayafter2012- Giù le mani da Venezia.

Laureen scende le gradinate di Santa Lucia, vorrebbe Miguel al suo fianco e così ha detto ad Andreas che sarebbe andata da sola, visto che si fermava da un'amica. Le pare che se non avesse fatto quei percorsi con lui, non avrebbe dovuto neanche condividere con nessun'altro uomo. questa città magica.

Sei ancora innamorata di lui!
Lo so.
Santa Lucia è una stazione capolinea, tanto che da piccola si è lasciata convincere da papà che mentre loro se ne andavano a zonzo, i ferrovieri smontassero la testa del treno e la rimontassero in coda, così che al loro ritorno il treno sarebbe stato pronto a ripartire verso l'entroterra. Uscendo all'aperto, dall'altra parte del canale, c'è la chiesa di San Simeon piccolo, un gioiello clericale come se ne vedono molti qui, ma in realtà per chi esce dalla stazione è semplicemente la prima fotografia, anche se l'unica cosa davvero interessante è la specularità della scalinata della chiesa con quella della stazione. Su entrambe la gente si ferma a riposare: sulla prima chi sta visitando la città o è in pausa da lavoro/studio, sulla seconda chi sta per partire.
Scende e svolta automaticamente a sinistra, la via del turista e anche quella degli studenti di economia, le viene un po' di batticuore: presto sarà una di loro. Subito alla sua destra ecco il ponte degli Scalzi, uno dei quattro ponti sul Canal Grande, il primo gigante che accoglie ogni forestiero e che lo invita a salire.
Di sicuro Miguel la prenderebbe per mano e la inviterebbe ad attraversarlo.
Lei invece imbocca rio Terà Lista di Spagna, il primo tratto della cosiddetta Strada Nova, dove s'incomincia a entrare nell'atmosfera veneziana al di là dei canali e del rombo dei vaporetti che intasano la stazione. Qualcuno degli studenti di economia gira subito a destra su calle Priuli ai Cavalletti, immergendosi in una Venezia di nicchia, più deserta, un itinerario tortuoso di calli che li porteranno in facoltà.
Lei preferisce svoltare e godersi la vivacità delle vie principali e proseguire quindi dritta. Inizia la sequenza dei bar, costosissimi se non hai un pronunciato accento veneziano e se non prendi il caffè al bancone può arrivare a costarti cinque euro. Il servizio, si giustificano.
Miguel si sarebbe divertito tantissimo a sentirla imitare perfettamente quell'accento e probabilmente le avrebbe chiesto di tradurre.
Dopo i fast food e le pizzerie al taglio, gradualmente spuntano le prime botteghe di souvenir ed oggettistica varia e tipica, quelle da cui qualche turista quando arriva non compra perché sono solo le prime che incontra, e da cui qualcun'altro comprerà sicuramente a fine soggiorno perché si è dimenticato di prendere qualcosa anche alla zia della cugina della madre. Miguel, hai fame? Se vuoi ci fermiamo qui, sembrano gastronomie, ma in realtà… sono più pasticcerie/panetterie, con in vetrina ogni sorta di dolciume e panificazione, ma tipicamente veneziana.
Venezia ha i suoi cavalli di battaglia evergreen e non cede alle lusinghe delle mode culinarie come il cake design: in vetrina a Venezia rimangono le spumiglie, le favette, i baicoli, le pinze.
Qualcuna di queste botteghe ha iniziato a mettere fuori anche spezie e condimenti disidratati tipici italiani. In fondo c'è gente che dell'Italia intera assaggerà solo questa città da fiaba.
Prosegue, su quei nemmeno cento metri di strada e spuntano gli ingressi dei primi hotel più o meno di lusso. Alza sempre lo sguardo, ogni volta che passa di qui, per vedere che meraviglia di struttura architettonica possa permettersi un hotel così, ma dopo si accorge sempre che i palazzi che accolgono gli hotel non interrompono nulla di poi così popolare, perché anche gli edifici adibiti ad abitazione o a qualsiasi altra attività, sono dei signori palazzi. Ma lei non ha mai visto il palazzo di famiglia, forse papà l'ha fatto apposta, per proteggerla, chissà… Tanto non appartiene più a loro.
Arriva in campo San Geremia, che si apre sulla destra, svolta sulla sinistra dove ha scoperto un negozio di underwear, la sua passione, semplice e non molto costoso, con qualche occasione davvero carina tanto che ci si ferma ed entra senza quasi pensarci. Dovrà abituarsi al fatto che ora non è più costretta a contare i cents.
Scova un completino intimo bianco, impreziosito da intarsi e se ne innamora: non sa quando lo indosserà, ma si chiede se a Miguel piacerebbe. Poi ne sceglie un altro, un pochino più estroso per Simona e poi si chiede che razza di biancheria porti Clelia. Esce più leggera di cento euro e zero sensi di colpa.
Nel campo c'è l'immancabile pozzo in disuso.
Cos'è quello? Sai Miguel… Venezia per secoli ha raccolto l'acqua piovana sotto alle proprie piazzette e la recuperava tramite i tipici pozzi, ora chiusi con un cappello di bronzo. Quanto le piacerebbe spiegargli queste cose, la ascolterebbe con attenzione, mentre passeggiano mano nella mano...
Poi magari deciderebbero per un ristorantino al bordo del campo, i tavolini sono fuori e il cameriere t'invita ad entrare. Lei si limita a un sorriso, a cui l'altro risponde: forse la conosce, ormai.
Supera il campiello di san Geremia tenendosi sulla sinistra, e prosegue lungo Strada Nova: in questi quattro passi il contrasto tra bar colmi di panini, cibo per lo stomaco e vetrine con sfondo bianco per i vetrini di Murano, cibo per chi ama l'arte. Che siano veri o falsi lo si capisce solo dal prezzo.
Davanti a lei il ponte delle Guglie, uno dei pochi ponti che con metà della scalinata facilita per il passaggio di mezzi a rotella, come carrozzine e porta carichi. Perché Venezia è una città magica, unica e un tantino bizzarra, perché qui le merci girano o in barca, o tramite portantini che trainano delle carriole giganti colme di tutto.
Laureen non prende il ponte, la facoltà di Economia è in fondo alle fondamenta di san Giobbe. Entra nel bar all'angolo sulla sinistra: la simpatica barista cinese fa un ottimo caffè all'umano prezzo di un euro e dieci, è sempre andata lì, è la sua piccola tappa prima di uscire dall'apnea turistica di Strada Nova e prendere anche lei un percorso diverso. Gira per le fondamenta di san Giobbe, alla sua sinistra case belle, ma meno sfarzose, alla sua destra il canale di Canareggio.
Prosegue dritta, incontra solo tre ristoranti, forse sono più osterie, tanto che gli studenti di Economia a volte si concedono una pausa pranzo un po' più consistente del panino portato da casa. Incontra solo un ultimo ponte, il Tre Archi, l'ultimo a tre arcate rimasto a Venezia, sulla destra, nulla più.
All'improvviso la leggera inclinazione della strada la fa svoltare e si trova davanti la Laguna. La facoltà di Economia polo di san Giobbe infatti delimita la fondamenta, la sua fiancata è a strapiombo sull'interno della laguna: era un antico macello, la cui ristrutturazione per il recupero degli spazi è iniziata già a fine Ottocento
L'insegna "Ca' Foscari, Facoltà di Economia" la accoglie appena fuori dall'ingresso, sotto un grande arco. È un complesso organizzato di aule a sé stanti, ma comunicanti tra loro. L'interno abbastanza moderno, l'esterno in mattoni.
In fondo in fondo, alla fine del viale tra le aule, sulla destra, c'è un piccolo luogo nascosto che lei ha scoperto: un fazzoletto di spazio con un paio di panchine e due gradoni, affacciato sulla laguna dove gli studenti vanno a fare un po' di pausa. Oggi ci sono due ragazzi che strimpellano le loro chitarre.
Un panorama mozzafiato: sporgendosi di poco vede a sinistra il ponte della Libertà, che collega Venezia alla Terra Ferma sul quale scorre anche la ferrovia, si ritrova a guardare l'ultimo tratto di strada che ha percorso prima di approdare a Venezia, e un po'stride con tutto il resto del bellissimo panorama.
Alle sue spalle i ragazzi si son messi a cantare.
La conosce, la canzone dei Pink Floyd, gliel'ha fatta sentire papà. E a loro chi l'avrà insegnata?
"I wish, I wish you were here"
Sono passati quattro mesi, lei ce l'ha messa tutta.
Eppure… "Quanto vorrei che tu fossi qui", pensa.

LA ROSA DEI VENTI